Matteo Moncada
Matteo Moncada:
Nel 1407 i Moncada ottennero l’investitura feudale della contea di Caltanissetta e per circa quattrocento anni (fino al 1812) ne furono i feudatari; Augusta per un breve periodo passò al regio demanio, che poteva meglio gestire la difesa della costa. In quegli stessi anni morirono prima Martino il Giovane e poi Martino II re d’Aragona, che aveva riunificato le Corone di Aragona e di Sicilia, entrambi senza eredi legittimi.
Per eleggere il nuovo re fu indetto il Concilio di Caspe (Saragozza), che prescelse Ferdinando, figlio del re di Castiglia, in vista di una unificazione dei due Regni iberici. Questa elezione in teoria non riguardava la Sicilia, su cui era competente il Parlamento siciliano, ma il Concilio di Caspe ritenne valida l’unificazione delle Corone fatta da Martino e i Siciliani con le loro contese interne non seppero opporsi efficacemente. Infatti, ancora una volta l’erede legittimo del Regno di Sicilia era una donna, Bianca di Navarra, seconda moglie di Martino il Giovane, che per la legge salica non poteva divenire regina. I nobili siciliani si divisero in due fazioni: una sosteneva Bianca di Navarra, già nominata vicaria del Regno prima dal marito e poi dal suocero; l’altra favorevole a Bernardo de Chiabrera, che nella sua qualità di gran giustiziere avanzava pretese sulla reggenza. Matteo, primo conte di Caltanissetta, capitano generale della cavalleria, difese strenuamente la regina, anzi la ospitò nel castello di Pietrarossa, che, come sappiamo, era praticamente inespugnabile.
La guerra civile si riaccese ancora una volta in Sicilia, finché il re Ferdinando d’Aragona non intervenne direttamente, mandando suoi legati, ufficialmente per difendere la regina Bianca, in pratica per toglierle ogni potere. Bianca di Navarra, rendendosi conto di essere stata scavalcata e messa da parte, convocò a Catania nell’agosto del 1413 Matteo Moncada e suo fratello Giovanni nel tentativo di riaffermare l’indipendenza siciliana rispetto alla prepotenza aragonese: «Digiati incontinenti viniri iza atalki insembli cum altri baruni a li quali avimu scriptu, si pocza supra zo tractari la libertati comuni e ki siano observati li costitucioni di lu regnu predictu comu e statu antiquiter observatu e foro iurati per nui, comu sapiti, regio nomine».
Il Parlamento si riunì il 1° settembre successivo e decise di inviare un’ambasceria al re per chiedergli di venire a risiedere in Sicilia o di nominare per l’isola un re indipendente. I Moncada erano certamente fautori di queste richieste. Nell’aprile 1414, insieme all’arcivescovo di Palermo, partirono alla volta della corte aragonese Giovanni Moncada, fratello del conte di Caltanissetta, ed il carmelitano Filippo Ferrara – delegato per le trattative con Martino per conto di Guglielmo Peralta, che era, a quel tempo, vescovo di Patti.
Inutile aggiungere che tutti i tentativi fatti in quella occasione furono vani: già l’anno successivo un figlio del re venne a prendere possesso della Sicilia (e a sposare Bianca di Navarra) e a lui successero molti altri viceré.
Quando Matteo Moncada morì, nel 1423, la Sicilia era ormai saldamente in mano al re aragonese, che la governava attraverso un suo vicario delegato, quasi sempre spagnolo. Matteo aveva sposato Contessa, figlia del conte di Cammarata, da cui aveva avuto tre figli maschi: Guglielmo Raimondo, Castone e Antonio.
Secondo una tradizione ben radicata nel mondo feudale, i tre figli ebbero tre destini diversi: solo il primo avrebbe potuto ereditare il titolo feudale, il secondo tentò la fortuna nella vita militare, il terzo, Antonio, fa destinato al convento e si fece domenicano.
Fonte: Storia di Caltanissetta – Rosanna Zaffuto Rovello – Edizioni Arbor